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IL RICERCATORE

Qualcuno è più informato?

Alcuni anni fa ho sentito parlare di condizioni di lavoro estremamente negative e sfruttamento di manodopera minorile in Turchia ad opera della Benetton . Qualcuno è più informato? Esiste ancora il problema ? Grazie yata 21

7 punti

12 commenti su “nessun titolo”

  1. Questa ricerca ha stimolato anche me .
    Ho trovato un articolo pubblicato di Riccardo Orizio sul Corriere della Sera del 12 ottobre 1998 dal titolo “La mia giornata a cucire jeans vale 6.600 lire”

    Ore 8 della mattina nel quarg tiere di Kagithane, periferia di Istanbul, lato europeo del Bosforo. Dalle corriere scendono gli operai delle fabbriche …Ozcan Babat, 12 anni, ha gli occhi ancora pieni di sonno, ma i suoi tre fratelli maggiori lo trascinano verso la fabbrica Bermuda: un palazzo a tre
    piani, simile a una casa popolare, dove lavorano 250 persone.
    Ozcan dovrebbe andare a scuola: lo dice la legge turca, lo dice la convenzione internazionale sul lavoro dei minori (che proibisce il lavoro a chi ha meno di 14 anni), lo dice la sua faccia spaurita di profugo curdo scappato da un in fiamme. Ozean, invece, tutte le mattine alle 8 va in fabbrica. “Da
    un anno vengo qui a lavorare con i miei fratelli. Io sono in nero, loro assunti regolarmente. A me danno 22 milioni di lire turche al mese (132 mila lire
    italiane, 6.600 lire al giorno). Nessuna copertura assicurativa, niente contributi sociali. Mi pagano in contanti, una volta alla settimana. ……..Mehmet Kocak ha 11 anni. Anche lui scende dalla corriera alle 8 di mattina e vi risale alle 18.30, perché in questi giorni alla Bermuda fioccano gli ordini per
    la primavera ’99. Vengono dalla Bogazici Hazir Giyim, la societa che e il partner locale di Benetton inTurchia. Bogazici era, fino al 1995, partecipata
    al 50% da Benetton International. Allora si chiamava Benetton Bogazici (sigifica Bosforo).
    Benetton sta conducendo due grandi campagne pubblicitarie a livello mondiale:
    una incentrata sui bambini portatori di handicap, l’altra con i volti multietnici della United Colors of Benetton incentrata sul 50esimo anniversario
    della Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite e sulla Convenzione dei diritti del bambino…….
    Potete trovare l’articolo sull’archivio del corriere della sera ( http://www.corriere.it)
    Questo articolo destò un grande scalpore
    Il 15 ottobre fu firmato un PROTOCOLLO D’INTESA tra la Benetton e la sua rappresentante turca e i sindacati sul lavoro minorile , Il testo originale tradotto dal turco è il seguente :

    Addì 15 Ottobre 1998

    Si sono riuniti a Istanbul:

    Serdar Sunay
    BOGAZICI HAZIR GIYM A.S.
    Direttore Generale
    Dr.umberto Dardi

    BENETTON GROUP SpA
    Direttore Relazioni Industriali
    Vittorio Carraro

    BENETTON GROUP SpA
    Servizio Tecnico Estero

    Hayrettin Devrimoz

    TURK-IS TEKSIF SENDIKASI

    Segretario Generale

    Suleyman Celebi

    DISK TEKSTIL SENDIKASI

    Segretario Generale

    Adriano Linari

    FILTA / CISL

    Valeria Fedeli

    FILTEA / CGIL

    Edoardo Rossi

    UILTA / UI

    Che all’esaurimento di un ampio ed articolato confronto sul delicato fenomeno del lavoro minorile in Turchia, hanno concretizzato il determinante contributo da loro stessi impresso con la rapida realizzazione dell’odierno incontro, all’elaborazione del codice di condotta denominato “The principles of Clean Production” che è stato illustrato nella conferenza tenuta dal Signor Cem Boyner, il cui contenuto entrerà in vigore con la firma del presente protocollo che si articola sui seguenti principi:

    Nessun bambino al di sotto dei 15 anni potrà essere impiegato per alcun lavoro.
    Saranno realizzati pari opportunità e trattamenti senza pregiudizio di ideologia, religione, lingua, razza, sesso, nazionalità.
    I salari devono essere equi e le condizioni di lavoro devono salvaguardare la salute e la sicurezza.
    Per i dipendenti devono trovare applicazione le coperture assicurative e di sicurezza sociale.
    Il produttore deve assumersi la responsabilità dell’intero ciclo manufatturiero.
    Con l’occasione si è preso atto degli elementi utili a chiarire la particolare situazione riguardante il contoterzista della Bogazici Ready Wear, denominato Bermuda.

    Tali elementi saranno valutati unitamente alle ulteriori indagini che si esauriranno entro un mese con il coinvolgimento delle strutture istituzionali di cui si sollecita l’intervento.

    Le parti auspicano, infine, che l’iniziativa assunta con il presente protocollo possa essere fatta propria ed estesa a tutte quelle situazioni e settori in cui trova diffusione il deprecabile ed illegale fenomeno del lavoro minorile. Le parti si adopereranno inoltre per un miglioramento delle loro relazioni.( http://www.regione.emilia-romagna.it/lavorominorile/iniziativeappuntamenti/convenzioni/s_benetton.htm)

    Colpo di scena !!!!!!
    Giovedi 17 aprile 2003, il tribunale di Milano assolve la Benetton e condanna il giornale diffamazione .
    http://www.news.jahoo

    Giovedì 17 Aprile 2003, 16:30

    (BNG.MI) BENETTON GROUP vince la causa contro il Corriere della Sera. E’ stato diffamato con accuse infondate sul lavoro minorile in Turchia.
    Il Gruppo Benetton ha preso atto con profonda soddisfazione della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano a carico del giornalista
    Riccardo Orizio e del direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, per i reati loro ascritti, rispettivamente diffamazione aggravata e omesso controllo, in merito all’immotivato coinvolgimento del gruppo in una asserita vicenda di sfruttamento del lavoro minorile in Turchia. Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro 60 giorni.
    La vicenda prese origine con la pubblicazione sul Corriere della Sera, in data 12 ottobre 1998, di articoli che, sulla base di dati risultatipesantemente non rispondenti alla realtà, attribuivano al Gruppo Benetton responsabilità nella vicenda sopra ricordata. Il tribunale di Milano ha quindi accertato che gli articoli pubblicati dal Corriere della Sera erano gravemente diffamatori.
    Il Gruppo Benetton si augura che questa sentenza, che ristabilisce pienamente la verità dei fatti, la correttezza e la trasparenza dei propri comportamenti sociali ed etici, possa avere un risalto informativo tale da bilanciare almeno in parte il pesante danno di immagine internazionale
    subito a causa di una grave e immotivata vicenda di distorsione di un’inchiesta giornalistica.

    Perchè allora la Benetton si è affrettata a firmare quel documento ???? Mi viene in mente il processo raccontato da totta .
    Yata 21

  2. Oltre lo sfruttamento dei “peones mapuches” nelle aziende Benetton per la produzione di lana, è scoppiato il caso Turchia.
    Attraverso uno scoop de “Il Corriere della Sera” si è venuti a conoscenza dello sfruttamento dei bambini, spesso curdi, nella fabbrica del fornitore Benetton in Turchia. I nostri amici dell’Osservatorio Benetton hanno collegato questi due fatti a quello che da sempre è il marchio del gruppo veneto: il vero e proprio sfruttamento presente nei tanti laboratori del nostro centro-sud che lavorano a cottimo per questa e per le altre grandi firme della moda italiana. Segnaliamo le gravi carenze igieniche, il licenziamento delle ragazze incinte, gli incentivi prodottivi che, in pratica, costringono le lavoratrici a turni sempre più massacranti. Il tutto sotto il ricatto di quello che Luciano Benetton chiama “decentramento produttivo”, ossia il trasferimento della produzione nei paesi dell’Europa orientale, dove un lavoratore costa meno, molto meno di 100 dollari al mese.
    Tutte queste denunce hanno costituito il materiale di un paio di dossier che molto hanno infastidito Luciano e compagnia. Non è un caso che lo stesso Toni Negri, quand’era ancora in Francia, arrivò a lodare lo stile Benetton e non è un caso che il “decentrarnento” si avvicina abbastanza a quelle teorizzazioni pseudo-autogestionarie care all’interno del pianeta non-profit. Il gruppo Benetton, al solito, ha reagito come in altre occasioni. Ha cercato di trarre profitto, dopo aver incassato il colpo, con un rilancio della sua immagine. In Turchia ha comprato i sindacalisti, non senza aver fatto licenziare quello che più s’era esposto, e ha avviato la “clean production”, accordo di facciata per tener fuori i bambini dalla fabbrica. In Patagonia sta cercando di dividere le comunità mapuches tra di loro, con regalie varie.
    Ricordiamo che il lavoro nei possedimenti del gruppo rappresenta l’unica fonte di sussistenza per questo popolo originario privato del suo territorio. Al contempo ha cercato di influenzare, diciamo pilotare, una serie di articoli su pubblicazioni attente alle violazioni dei diritti umani, lavorativi e ambientali con delle grandi menzogne. (da topolina)

  3. Premetto, da subito, che non c’è molto da gioire. Benetton, così come le altre multinazionali, continua ad esistere e ad ingigantirsi con investimenti nei settori più svariati. Il riquadro che riportiamo risale al 1997. Da allora ha fatto degli enormi “progressi” (dal suo punto di vista) tentando di entrare nel mondo delle telecomunicazioni, aumentando la presenza nella grande distribuzione e acquisendo enormi aree dismesse (ferroviarie o aeroportuali) e così via. Ma, lo ripeto, questo primo attacco ha dato i suoi frutti. Assieme alle denunce lanciate dall’organizzazione mapuche-tehuelche “11 de octubre”, sullo sfruttamento dei “peones mapuches” nelle aziende Benetton per la produzione di lana, è scoppiato il caso Turchia. Attraverso uno scoop giornalistico da parte de “Il Corriere della Sera” (certamente non in buona fede) si è venuti a conoscenza del sistematico sfruttamento dei bambini, spesso curdi, nella fabbrica del fornitore Benetton in Turchia. I nostri amici dell’Osservatorio Benetton hanno collegato questi due fatti a quello che da sempre è il marchio del gruppo veneto: il vero e proprio sfruttamento presente nei tanti laboratori del nostro centro-sud che lavorano a cottimo per questa e per le altre grandi firme della moda italiana. Segnalo le gravi carenze igieniche, il vecchio fenomeno del “fuoribusta”, il licenziamento delle ragazze incinte, gli incentivi prodottivi che, in pratica, costringono le lavoratrici a turni sempre più massacranti. Il tutto sotto il ricatto di quello che Luciano Benetton chiama “decentramento produttivo”, ossia il trasferimento della produzione nei paesi dell’Europa orientale, dove un lavoratore costa meno, molto meno di 100 dollari al mese. Tutte queste denunce hanno costituito il materiale di un paio di dossier che molto hanno infastidito Luciano e compagnia. Tralascio le insulse farneticazioni di Oliviero Toscani, “il libertario” – come ama definirsi -, che ha la sola funzione del pagliaccio di corte, lui e tutti gli (ehm…) artisti-buffoni della “Fabbrica”. No, ciò che si è riusciti a mettere in discussione è, in fondo in fondo, lo stesso miracolo capitalistico del nord-est, quello che tanto piace alla sinistra alternativa. Non è un caso che lo stesso Toni Negri, quand’era ancora in Francia, arrivò a lodare lo stile Benetton e non è un caso che il “decentrarnento” si avvicina abbastanza a quelle teorizzazioni pseudo-autogestionarie care all’interno del pianeta non-profit. Il gruppo Benetton, al solito, ha reagito come in altre occasioni. Ha cercato di trarre profitto, dopo aver incassato il colpo, con un rilancio della sua immagine. In Turchia ha comprato i sindacalisti, non senza aver fatto licenziare quello che più s’era esposto, e ha avviato la “clean production”, accordo di facciata per tener fuori i bambini dalla fabbrica. In Patagonia sta cercando di dividere le comunità mapuches tra di loro, con regalie varie. Ricordo che il lavoro nei possedimenti del gruppo rappresenta l’unica fonte di sussistenza per questo popolo originario privato del suo territorio. Ancor più ipocrita e la campagna d’immagine avviata in Italia. Da noi ha sponsorizzato alcune organizzazioni non governative che sono andate in Albania durante la guerra nel Kosovo. Al contempo ha cercato di influenzare, diciamo pilotare, una serie di articoli su pubblicazioni attente alle violazioni dei diritti umani, lavorativi e ambientali con delle grandi menzogne. Ad esempio quella secondo la quale ha riconosciuto i diritti delle comunità mapuches, avvalorata dal coglione “quechua” di turno: “Dopo due anni di lotta, la multinazionale di Treviso ha riconosciuto i diritti di questa comunità e contribuirà economicamente a migliorare le poche infrastrutture abitative, scolastiche e sanitarie di cui dispone” (José Flores su “Erba” del marzo ’99). L’unica cosa che i mapuches chiedono a questa e a tutte le multinazionali che li stanno sfruttando (una per tutte Endesa Espana) è di andarsene via dal loro territorio ancestral!

    http://www.tmcrew.org

  4. Il commento di Topolina ci fornisce un esempio di com’è importante, verificare e in seguito citare la fonte delle nostre informazioni.
    Se ho ben “cercato” , il testo è tratto dall’articolo “I colori uniti dello sfruttamento”, che è pubblicato sul sito: http://www.tmcrew.org.
    L’autore dell’articolo ha trovato le sue informazioni su “Il Brigante”, pubblicato nell’estate ’99.
    “Lo scoop” del Corriere della sera è finito in tribunale e il quotidiano milanese è stato condannato per diffamazione.
    La verità giudiziaria è che il gruppo Benetton è stato coinvolto ingiustamente in una vicenda di sfruttamento minorile, come ci ha spiegato Yata e come possiamo leggere tutti cliccando qui.
    Verificando la fonte delle notizie pubblicate sul sito http://www.tmcrew.org, avremmo compreso che l’articolo riportava informazioni non più attendibili, poiché nell’aprile del 2003 c’era stata la sentenza del tribunale di Milano.
    Riepilogando:
    1. Il 12 ottobre 1998 il Corriere della Sera pubblica un articolo in cui accusa il gruppo Benetton di utilizzare il lavoro dei bambini curdi nelle fabbriche in Turchia.
    2. Parte una campagna scandalistica nei confronti del gruppo.
    3. Nell’aprile del 2003 il tribunale di Milano emette una sentenza di condanna nei confronti di Riccardo Orizio (il giornalista) e Ferruccio De Bortoli (direttore) del Corriere della Sera, scagionando il gruppo Benetton dall’accusa di sfruttamento minorile.
    L’esempio, che abbiamo esaminato, dimostra che in Internet si trova di tutto e che spetta a noi verificare l’attendibilità di quello che leggiamo e/o pubblichiamo.
    Ribadisco l’importanza delle fonti e vi invito a rileggere il post “Per tutti” o la scheda che vi ho dato, dove sono indicati i criteri per riportare le fonti dell’informazione in un post.
    Se vogliamo diventare cittadini consapevoli, e’ bene abituarsi a verificare notizie, informazioni e/o conoscenze.

    carla

  5. Nei mesi passati ha avuto una grande eco sulla stampa italiana la denuncia fatta dal sindacato tessile turco circa la presenza di forme di sfruttamento di lavoro minorile negli stabilimenti della Bogaziçi, società licenziataria del gruppo Benetton. La strada intrapresa dai sindacati italiani e turchi ha portato alla firma di un Protocollo d’intesa con i rappresentanti del gruppo Benetton e della Bogaziçi, sul divieto di impiegare bambini al di sotto dei 15 anni in qualsiasi lavoro.

    Il protocollo, che riportiamo di seguito, porterà sicuramente a dei risultati positivi sul piano della lotta al lavoro minorile, ponendosi come esempio, da seguire e diffondere, di come l’attività sindacale, in ogni parte del mondo, sia fondamentale per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e, nel caso particolare, dei diritti dell’infanzia.Tale protocollo si articola sui seguenti principi:

    1. Nessun bambino al dì sotto dei 15 anni potrà essere impiegato per alcun lavoro
    2. Saranno realizzati pari opportunità e trattamenti senza pregiudizio di ideologia, religione, razza, sesso, nazionalità
    3. I salari devono essere equi e le condizioni di lavoro devono salvaguardare la salute e la sicurezza
    4. Per i dipendenti devono trovare applicazione le coperture assicurative e di sicurezza sociale
    5. Il produttore deve assumersi la responsabilità dell’intero ciclo manifatturiero
    Ricordiamo che comunque la Benetton ha vinto la causa by seno & bass8

  6. Il Rimini social forum lancia la campagna contro lo sfruttamento. Primo “bersaglio”,è stato la Benetton. Ecco il comunicato che lancia l’iniziativa: “Le città sembrano riempirsi di festa, le case si addobbano di luci e colori, si avvicina la corsa al regalo e all’acquisto. Mentre molti sono instupiditi nell’acquisto, lontano da noi, in Patagonia la quiete della popolazione indigena locale è turbata da una parte del cosidetto mondo civile. La compagnia italiana Benetton, dietro la sua immagine di rispetto e fratellanza, è responsabile di aver strappato la terra alla comunità Mapuche, dove da sempre viveva, confinando questa in una riserva e l’unica fonte d’acqua è stata recintata ed è diventata ormai di proprietà privata Benetton. La Benetton utilizza le terre e l’acqua per le sue pecore, così i Mapuche cacciati dalle loro terre, muoiono per mancanza di acqua potabile. Non contento di tutto ciò il signor Benetton schiavizza gli indigeni per 360.000 lire al mese con orari che vanno dell’alba al tramonto. Inoltre la Benetton è responsabile di sfruttamento minorile in Turchia ed i governi ovviamente si muovono a suo fianco.
    Nelle settimane passate ha avuto una grande eco sulla stampa italiana la denuncia fatta dal sindacato tessile turco circa la presenza di forme di sfruttamento di lavoro minorile negli stabilimenti della Bogaziçi, società licenziataria del gruppo Benetton. La strada intrapresa dai sindacati italiani e turchi ha portato alla firma di un Protocollo d’intesa con i rappresentanti del gruppo Benetton e della Bogaziçi, sul divieto di impiegare bambini al di sotto dei 15 anni in qualsiasi lavoro.
    Pulce90

  7. I Benetton infatti hanno costruito gran parte della propria ricchezza acquistando (a prezzi stracciati) 8 latifondi in Patagonia popolati dalla comunità Mapuche, che è stata confinata in una striscia di terra detta “Reserva della compania Benetton” nella quale vivono in condizioni di sovraffollamento, costretti a rinunciare alla pastorizia per l’ insufficienza della terra i Mapuche vengono impiegati e sfruttati come manodopera ricevendo un salario mensile pari a 175 euro per turni di lavoro di 18 ore giornaliere.
    Un piccolo esempio per dire come, essendo noi i clienti di questa economia consumistica e di sfruttamento, noi stessi possiamo e dobbiamo metterla in ginocchio, possiamo bloccare l’economia di guerra e con essa fermare i massacratori dell’umanità.
    Fonte: http://www.geocities.it
    Ginghini G.L.

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