Scusami Joy se ti lascio un commento un po’ lungo,
ma l’argomento m’interessa molto per cui ora parto:
RUMORI DI FONDO
Sono tutte giovanissime le mani che hanno deciso di bruciare la periferia di Parigi. La maggior parte nemmeno ventenni. Una parte proveniente da zone diverse del mondo, ma nati in Francia e uniti, loro malgrado, dalla frustrazione di un feroce abbandono sociale che a sua volta crea mostri e drammi: storie di droga, prostituzione, lavori in nero, sfruttamento a tutti i livelli, mancanza di prospettive future per totale indifferenza, il presente più instabile che mai. I giovani francesi non conoscono le marce, le manifestazioni organizzate, non hanno leader che li rappresentino e immersi in una solitudine sociale e culturale indicibile, ci mandano a dire che le nostre fiaccole possiamo infilarcele su per il buco del culo, così potremo sentire il gusto della contemporaneità che attraversa i palazzi delle cinture periferiche. Ventenni che hanno scelto di non subire più passivamente, di dare libertà al proprio urlo di sopravvivenza e di aiuto e ora hanno aperto un debito con il futuro e una sottrazione di senso all’esistente. In due parole: un residuo di speranza. E se invece non vi fosse nessuna fuga possibile? Se proprio l’esperienza dei migranti fossi lì a ritmarci dentro l’orecchio, come un rumore di fondo, che i tempi sono cambiati e che non c’è posto migliore di questo, foss’anche per morire a stento o nel tentativo di sbarcare sulle Coste dell’Impero in cento su un gommone? Allora probabilmente si dovrebbero rivoltare i termini dell’intero ragionamento. Perchè è qui che la questione si fa realmente bruciante. Ed è qui che si salta. Si salta sul posto, fughe da fermo, quindi. Il loro è un urlo monco, strozzato, un girovagare fra un parco e l’altro, un essere sempre in prima linea senza contare per nessuno e sparire senza che nessuno abbia mai saputo nulla. Movimenti nel buio di “fantasmi”, che hanno, con le loro modalità e con la loro disperazione, deciso di far saltare in aria cassonetti dell’immondizia e macchine per affermare il proprio corpo, la propria anima, il proprio dolore, il legittimo desiderio di sperare in qualcosa di diverso. Ci sarà pure qualcosa di diverso?
C’è un film che riesce molto bene a spiegare quello che sta accadendo in Francia, girato proprio nella periferia parigina, s’intitola “L’odio” del regista Mathieu Kassovitz. Guardatelo per capire.
Per non arrivare a questi livelli di potente pressione collettiva, allora occorre abbandonare le politiche di privatizzazione e di impoverimento della società, spostare le risorse del profitto e della rendita verso le parti sociali più deboli, una distribuzione più equa delle risorse economiche e culturali, un impegno reale di un “modus operandi” politico che non schiacci in categorie le ricchezze diversificate di ogni genere, dal diritto alla casa a quello della salute, evitando gli squilibri economici-culturali che abbiamo sotto il naso tutti i giorni. Ma con Chirac, Schroeder, Tony Blair e il “nostro” nano, come si fa a parlare di “stato sociale”? Chiudo questo post con le parole di una canzone di Fabrizio De Andrè:
“Anche se avete chiuso le vostre porte sul nostro muso la notte che le “pantere” ci morderanno il sedere lasciandoci in buona fede massacrare sui marciapiedi anche se ora ve ne fregate e se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri senza le barricate, senza feriti, senza granate se avete preso per buone le verità della televisione anche se allora vi siete assolti, siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora che tutto sia come prima perchè avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, la consuetudine convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: PER QUANTO VOI VI CREDIATE ASSOLTI SIETE PER SEMPRE COINVOLTI”.
Ciao Joy e quando vuoi venire da me sei il benvenuto. Matteo.
Scusami Joy se ti lascio un commento un po’ lungo,
ma l’argomento m’interessa molto per cui ora parto:
RUMORI DI FONDO
Sono tutte giovanissime le mani che hanno deciso di bruciare la periferia di Parigi. La maggior parte nemmeno ventenni. Una parte proveniente da zone diverse del mondo, ma nati in Francia e uniti, loro malgrado, dalla frustrazione di un feroce abbandono sociale che a sua volta crea mostri e drammi: storie di droga, prostituzione, lavori in nero, sfruttamento a tutti i livelli, mancanza di prospettive future per totale indifferenza, il presente più instabile che mai. I giovani francesi non conoscono le marce, le manifestazioni organizzate, non hanno leader che li rappresentino e immersi in una solitudine sociale e culturale indicibile, ci mandano a dire che le nostre fiaccole possiamo infilarcele su per il buco del culo, così potremo sentire il gusto della contemporaneità che attraversa i palazzi delle cinture periferiche. Ventenni che hanno scelto di non subire più passivamente, di dare libertà al proprio urlo di sopravvivenza e di aiuto e ora hanno aperto un debito con il futuro e una sottrazione di senso all’esistente. In due parole: un residuo di speranza. E se invece non vi fosse nessuna fuga possibile? Se proprio l’esperienza dei migranti fossi lì a ritmarci dentro l’orecchio, come un rumore di fondo, che i tempi sono cambiati e che non c’è posto migliore di questo, foss’anche per morire a stento o nel tentativo di sbarcare sulle Coste dell’Impero in cento su un gommone? Allora probabilmente si dovrebbero rivoltare i termini dell’intero ragionamento. Perchè è qui che la questione si fa realmente bruciante. Ed è qui che si salta. Si salta sul posto, fughe da fermo, quindi. Il loro è un urlo monco, strozzato, un girovagare fra un parco e l’altro, un essere sempre in prima linea senza contare per nessuno e sparire senza che nessuno abbia mai saputo nulla. Movimenti nel buio di “fantasmi”, che hanno, con le loro modalità e con la loro disperazione, deciso di far saltare in aria cassonetti dell’immondizia e macchine per affermare il proprio corpo, la propria anima, il proprio dolore, il legittimo desiderio di sperare in qualcosa di diverso. Ci sarà pure qualcosa di diverso?
C’è un film che riesce molto bene a spiegare quello che sta accadendo in Francia, girato proprio nella periferia parigina, s’intitola “L’odio” del regista Mathieu Kassovitz. Guardatelo per capire.
Per non arrivare a questi livelli di potente pressione collettiva, allora occorre abbandonare le politiche di privatizzazione e di impoverimento della società, spostare le risorse del profitto e della rendita verso le parti sociali più deboli, una distribuzione più equa delle risorse economiche e culturali, un impegno reale di un “modus operandi” politico che non schiacci in categorie le ricchezze diversificate di ogni genere, dal diritto alla casa a quello della salute, evitando gli squilibri economici-culturali che abbiamo sotto il naso tutti i giorni. Ma con Chirac, Schroeder, Tony Blair e il “nostro” nano, come si fa a parlare di “stato sociale”? Chiudo questo post con le parole di una canzone di Fabrizio De Andrè:
“Anche se avete chiuso le vostre porte sul nostro muso la notte che le “pantere” ci morderanno il sedere lasciandoci in buona fede massacrare sui marciapiedi anche se ora ve ne fregate e se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri senza le barricate, senza feriti, senza granate se avete preso per buone le verità della televisione anche se allora vi siete assolti, siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora che tutto sia come prima perchè avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, la consuetudine convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: PER QUANTO VOI VI CREDIATE ASSOLTI SIETE PER SEMPRE COINVOLTI”.
Ciao Joy e quando vuoi venire da me sei il benvenuto. Matteo.