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Cybugs: anche le macchine possono pensare
"Possono le macchine pensare?" è il suggestivo titolo di una mostra in corso alla Triennale di Milano, nell’ambito della XX Esposizione Internazionale "La memoria e il futuro", ma è anche l’interrogativo, posto nel lontano 1952, da uno dei grandi geni del campo: Alan Mathison Turing.

Nella vita di tutti i giorni usiamo in maniera disinvolta Internet e Playstation, telefonini e lavatrici sensibili, abbiamo giocato con il Tamagochi e in televisione sentiamo parlare di armi intelligenti: ma sappiamo esattamente da dove vengono tutte queste innovazioni? E soprattutto sappiamo dove stiamo andando? È davvero possibile creare robot in tutto e per tutto simili a noi, in grado di pensare e, perché no, di innamorarsi? Il mondo della scienza sta lavorando in questo senso: nel 1997 la macchina Deep Blue dell’IBM ha sconfitto il campione mondiale degli scacchi Garry Kasparov, mentre il 2050 è il termine che si propongono gli scienziati giapponesi per realizzare una squadra di calcio di robot in grado di battere la nazionale – umana – campione del mondo.

Partiamo dall’inizio: la prima macchina addizionatrice nasce nel 1642, grazie a Blaise Pascal, da cui prende il nome di Pascalina; dopo un paio di secoli ecco profilarsi l’idea di software, grazie a Lady Ada Byron, figlia del notissimo poeta, che pose le basi per la programmazione, immaginandone l’utilizzo con 140 anni di anticipo. Contemporaneamente si vendono bambole semoventi per il divertimento dei bambini, bambole che però riprendono la tradizione sempre viva delle statue articolate, i cui più antichi esemplari risalgono addirittura all’antico Egitto.
 

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