Non riesco a non stressarvi con i manga

é inutile. Non riesco a non stressarvi con i manga. Prometto che questo è l’ultimo però….. LEGGETELO IN MOLTI!!!! 

MANGA E ROBOT: STORIE DI COLOSSI D’ACCIAIO!

Robot giganti, androidi atomici e cyborg dal passato umano. Chi sono? I nuovi samurai del Sol Levante… e i nuovi eroi della generazione Goldrake.

“Un giorno a Tokyo, fui prigioniero del traffico per ore.
In un lampo immaginai che la mia auto divenisse un gigante di metallo, con braccia e gambe, così da sollevarmi da terra e portarmi, finalmente libero, lontano…”
Le parole sono di un giovanissimo mangaka di talento, Nagai Go. È il 1972.
A quel sogno l’autore s’ispira per creare uno dei suoi personaggi più famosi, Mazinga Z.
Nagai all’epoca è già molto popolare
presso i lettori per alcuni manga, come Harenchi Gakuen, “Scuola senza pudore” (1968), mix di humour ed erotismo. Ma è l’innovativa saga dei robot giganti, concepita negli anni Settanta, a sancirne definitivamente il genio e a decretarne il successo.
I colossi metallici di Nagai non sono i primi a dominare la scena del manga. Negli anni Trenta Sakamoto Gajo sbalordisce i lettori con una storia avveniristica per i tempi: il cyborg Tanku Tankuro (1934) vola nei cieli, va sott’acqua e combatte il male con armi strabilianti sempre diverse.
La difesa del bene e della pace contro il male è l’ingrediente primo di Tetsuwan Atom, “Astroboy” in Italia, di Tezuka Osamu (1951). L’invincibile androide Atom ha il volto di un bambino e riesce a leggere nel cuore degli uomini. L’opera è un’esaltazione della tecnologia e dell’energia atomica – quando usati a fin di bene – in un Giappone ancora ferito dalla bomba H.
In Tetsujin 28 Go, “Uomo di ferro n. 28” di Yokoyama Mitsutero (1958) il robot è un gigantesco giocattolo nelle mani dell’uomo: l’automa è comandato a distanza da un ragazzino di nome Shotaro, per combattere contro i malvagi.
Alla fine degli anni Cinquanta il manga robotico offre due modelli: l’androide dall’anima pura, Atom, programmato per fare il bene e il colosso meccanico guidato a distanza, come Uomo di ferro.
Pochi anni dopo, di fronte al crescente ingorgo di uomini e macchine nella società nipponica, la figura del cyborg dà nuovo impulso al genere.
Eito Man, “Eight Man”, di Kuwata Jiro (1963), è una creatura, nel cui corpo da androide è impiantato il cervello di un detective ucciso e che combatte la criminalità organizzata.
Invece in Cyborg 009 (1964) di Ishinomori Shotaro nove ragazzi sono trasformati in cyborg contro il loro volere per vincere i nemici dell’umanità.
Negli anni Settanta lo scenario del manga robotico cambia radicalmente. Nagai Go presenta Majinger Z, "Mazinga Z" (1972): grazie a una navicella spaziale il pilota, Koji, entra nella testa cava del colosso, trasformata in cabina di controllo.
Per Nagai il robot è una macchina facile da guidare come un’automobile. Non più automi o macchine radiocontrollate, ma robot che ripetono i movimenti del pilota dentro di loro.
Uomo e macchina sono ormai in simbiosi: il pilota si connette al corpo metallico, diventandone il cuore e il cervello. Ogni colpo subito in combattimento dal robot è un dolore fisico nel corpo del pilota.
La saga iniziata con Mazinga Z prosegue in Great Majinger, “Il Grande Mazinga” (1974) senza novità di trama: salvo il pilota, tutti i personaggi sono uguali, mentre la storia ripete i tentativi di conquista del pianeta da parte di un esercito di bestie meccaniche.
Con Kotetsu Jeeg, “Jeeg Robot d’acciaio” (1975) Nagai si spinge oltre, creando il primo robot bio-tecnologico. Il pilota, Hiroshi, è un cyborg: ha infatti il potere di trasformarsi nella testa del robot. Il conflitto psicologico per non sentirsi pienamente umano suscita nei lettori la questione etica dell’invadenza delle macchine.
Nello stesso anno Nagai conclude la saga con il celebre Atlas Ufo Robot Grendizer, “Ufo Robot Goldrake”, il primo cartone animato robotico comparso sui teleschermi italiani.
Stavolta alla guida del robot che difende la Terra non c’è un uomo, ma un alieno, Actarus. Il resto degli uomini, in difesa dei quali lotta con Goldrake, lo disprezza per la sua origine extraterrestre: il manga diventa così anche una metafora del razzismo in chiave futuristica.
Il successo delle serie di Nagai non dipende solo dal realismo con cui i personaggi sono descritti, ma deve molto alla cura per i particolari tecnici dei robot.
Il mecha design ossia il disegno completo dei robot e delle loro parti inizia a maturare proprio con Mazinga Z, che mostra una varietà inesauribile di congegni, armi, missili e raggi fotonici.
Da rozzi e stilizzati, come il primo Mazinga, i robot diventano via via più sofisticati. Spesso l’autore si sofferma a disegnare gli interni delle macchine come misteri della tecnica.
Inevitabile, allora, che i robot diventino perfetti giocattoli di gomma e plastica. Jeeg robot d’acciaio inaugura la moda del robot magnetico composto di parti scomponibili.
Dalla commessa di un produttore di giocattoli nasce un altro famoso robot nagaiano, Getter Robo, il primo trasformabile in vari modelli secondo le combinazioni dei suoi componenti.
Simili a demoni o dei, in perenne lotta contro mostri giganti – secondo il cliché dei kaiju eiga, i film di mostri – i robot di Nagai ben rappresentano la doppia anima del Giappone.
Simboli di progresso tecnologico questi samurai d’acciaio parlano di macchine piene di eroismo e sacrificio. Semplici robot? Umani, troppo umani.

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Trovato su www.deagostiniedicola.it di Karim Ben Hamida

Ciao ciao ciao

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