La nota dla Pasquetta

La nota dla Pasquetta
e’ scor e’ ciù e la zveta

Traduzione
La notte della Pasquetta
parlano il chiù e la civetta

“… Era credenza tradizionale che la notte dell’Epifania gli animali (in special modo quelli della stalla) acquistassero parola umana e nei loro discorsi si soffermassero a valutare l’operato dei padroni e a predire loro il futuro.
L’Epifania, divenuta nel calendario liturgico cristiano celebrazione della manifestazione di Dio agli uomini nella persona del Figlio, con la presentazione di Cristo ai Magi, era anticamente, in religioni precristiane, la data di chiusura delle «dodici notti» dedicate al passaggio dell’anno, nel periodo successivo al solstizio invernale. Mettendo fine ad un periodo ‘fuori del tempo’, quindi aperto, come si credeva, al ritorno e alla presenza dei morti nella dimensione terrena, essa fungeva da ricorrenza manistica importante, perché i defunti e gli Antenati  (protagonisti di diffusi culti dei morti strettamente collegati ai culti agrari di fertilità e fecondità) in quel giorno (o meglio in quella notte) portavano un augurio di abbondanza e doni ai vivi (i ‘pasqualotti’, che vanno a cantare di casa in casa  la Pasquella, e la figura della Befana che porta doni rappresentano, in origine, i morti). Nell’ambito di questo insieme celebrativo, si pensava anche che i defunti si incarnassero, in quella notte, negli animali della stalla (probabile persistenza nel culto dei morti, tipico di popoli agricoltori, e di quello del «Signore degli animali», proprio di società di cacciatori e allevatori). Per questo gli animali, in cui si incarnano temporaneamente i defunti, hanno, nella notte dell’Epifania, parola umana e capacità divinatorie. Non solo: il contatto uditivo con loro può essere pericoloso, e l’incauto ascoltatore sarà costretto a seguirli quando, finita la notte magica, essi torneranno nella dimensione inferica o ultraterrena; e questo è ben testimoniato nel folklore romagnolo, secondo il quale il più ricorrente pronostico fatto dagli animali (si tratta sempre di bovini) in quella notte riguarda proprio la morte dell’ascoltatore (di solito il padrone o il bovaro).
La vigilia dell’Epifania si cercava dunque di ingraziarsi i bovini, governandoli «senza risparmio», come ricorda Placucci (1818 [1952]: 119), perché non avessero «a dir male né  del padrone, né del loro custode»; si evitava inoltre di entrare nella stalla in quella notte…”.

Eraldo Baldini, Giuseppe Bellosi – Calendario e folklore in Romagna. Ravenna, 1995. II edizione.

Riedizione di Epifania.  Ludus litterarius, 6 gennaio 2006

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