Problemi Mondiali
Prima di rispondere alle domande vi vorrei fare, all’incirca, un quadro generale di quelle che sono le principali associazioni economiche del mondo. Innanzitutto, quella di cui ne facciamo parte anche noi, l’UE (Unione Europea): comunità sopranazionale sancita nel Trattato di Maastricht (Paesi Bassi), firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1º novembre 1993 dopo la ratificazione dei 12 Stati membri della Comunità Europea, ai quali nel 1994 si sono aggiunte Austria, Finlandia e Svezia. Nel dicembre del 1999, nel corso del vertice di Helsinki, l’UE ha approvato l’apertura dei negoziati per l’adesione di 12 nuovi Paesi: Lituania, Lettonia, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Malta e Turchia. In America è presente l’OAS (Organization of America States) fondata nell’aprile 1948, a Bogotá. Si propone, nell’osservanza dei principi generali dell’ONU, una più stretta collaborazione sociale, economica e culturale, nonché la difesa delle libertà democratiche all’interno degli Stati aderenti. In Africa c’è l’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana): Organizzazione internazionale istituita nel 1963 per promuovere l’unione e lo sviluppo economico-sociale dei rispettivi Paesi. Attualmente ne fanno parte tutti gli Stati africani escluso il Marocco. Ne sono organi l’Assemblea dei capi di Stato e di governo, che si riunisce annualmente; il Consiglio dei ministri degli Esteri, che si riunisce due volte all’anno; il Segretariato, cinque commissioni specializzate e una Commissione di Mediazione, Conciliazione e Arbitrato. Alcuni paesi dell’Asia occidentale, dell’Africa e del Sud-America sono legati dall’OPEC (Organizzazioni dei Paesi Esportatori di Petrolio): organizzazione internazionale istituita nel settembre 1960 da cinque Paesi produttori di petrolio (Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait e Venezuela) durante la Conferenza di Baghdad (e dotata di uno Statuto alla Conferenza tenutasi a Caracas nel gennaio 1961). Mira a predisporre una politica economica comune per i Paesi membri nella produzione e soprattutto nello smercio internazionale del petrolio grezzo e in genere a tutelare i loro interessi, individuali e collettivi, mediante azioni coordinate. Ne sono membri: Algeria, Arabia Saudita, Gabon, Indonesia, Iraq, Iran, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela, Unione degli Emirati Arabi; l’Ecuador non è più Paese membro dal 1992. Gli Stati arabi membri dell’OPEC hanno costituito (1968) un’organizzazione settoriale: l’Organizzazione Araba dei Paesi Esportatori di Petrolio (O.A.P.E.C.), con sede nel Kuwait. Organi: Consiglio dei ministri, suprema autorità dell’organizzazione, formato da ministri degli Stati membri, Ufficio esecutivo, Segretariato, Tribunale giudiziario, formato da nove giudici, che si occupa di risolvere questioni di interpretazione e di applicazione dei trattati dell’organizzazione. Infine è presente un’ultima Associazione dell’area australiana, il commonwealth: associazione volontaria delle comunità sovrane e indipendenti sorte nell’orbita britannica, che riconoscono il monarca del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord come simbolo del loro legame e, come tale, capo dell’associazione stessa. La sua definizione si è venuta formando attraverso il tempo distinguendosi da British Empire, nnicomprensivo di tutti i territori sottoposti alla corona britannica, quindi anche di quelli privi di autogoverno. I primi membri del Commonwealth, elencati nell’art. 1 del preambolo dello Statuto di Westminster del 1931, spesso definito la Magna Charta del Commonwealth, furono: Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Unione del Sud Africa, Stato libero d’Irlanda (Eire dal 1937) e Terranova; ma tale elenco si è andato via via odificando. Il termine fu usato per la prima volta nel 1884 da lord Rosebery in un discorso ad Adelaide (Australia). Nel maggio 1917, a un banchetto alla Camera dei Lords, il generale J. Ch. Smuts, del Sud Africa, parlò del “British Commonwealth of Nations” e in un documento ufficiale il termine fu per la prima volta usato nel trattato anglo-irlandese del dicembre 1921, che stabiliva lo Stato Libero d’Irlanda. Apparve anche nella dichiarazione che Balfour fece in occasione della storica Conferenza Imperiale del 1926; in essa i Dominions, comunità dotate di autogoverno, e la Gran Bretagna furono descritti come “autonome comunità all’interno dell’Impero britannico, di uguale condizione, in nessun modo subordinate le une alle altre in qualsiasi aspetto dei loro affari interni o esteri, sebbene unite da una comune fedeltà alla corona, e liberamente associate come membri del British Commonwealth of Nations”. Tale definizione di uguale e indipendente condizione fu attuata come legge nello Statuto di Westminster del 1931. Non vi fu un accordo da parte dei vari governi interessati per adottare una designazione piuttosto che un’altra, Commonwealth, British Commonwealth of Nations o British Empire. Tutte queste ssociazioni sopraelencate hanno come fine la produzione di “ricchezza” o meglio lo sfruttamento di tutte le risorse, comprese quelle umane, dei singoli paesi che rappresentano, ma questa ricchezza, pur portando ovvi vantaggi per i rappresentanti degli stati membri e quindi apparentemente anche alle relative popolazioni, rimane nelle tasche di pochi, dei più potenti aumentando la disuguaglianza tra gli avidi “pezzi da 90” e i tanti poveri “2 di coppe”. Questa situazione ha creato, sta creando e creerà un’inevitabile progressiva disuguaglianza fra i vari paesi di tutto il mondo infatti il rapporto annuale delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano, pubblicato recentemente, rivela dati allarmanti; forse alcuni dati potrebbero aiutare a comprendere meglio: una maggiore mortalità generalizzata per fame, un incremento del consumo mondiale nel 1998 di 16 volte superiore a quello registrato all’inizio del secolo e tremendamente localizzato, una irrazionale distribuzione di detto consumo in articoli non necessari tra gli abitanti delle zone più ricche del pianeta e una concentrazione vergognosa della ricchezza. Il rapporto segnala che il consumo mondiale è oggi 16 volte maggiore che all’inizio del secolo ma non tutti godono di questo incremento: solo il 20% degli abitanti dei paesi più ricchi consumano l’86% dei prodotti del mondo. Accanto a ciò, più di un miliardo di persone non riesce ad accedere ai consumi più elementari, come acqua, energia, educazione, alimentazione, trasporti, comunicazioni e intrattenimenti. Inoltre ogni giorno un numero sempre maggiore di persone muore per fame. Solo negli USA si spendono ogni anno più di otto miliardi di dollari in cosmetici, quantità molto superiore a quella che si spende per l’educazione elementare nel resto del pianeta. Le spese per l’educazione primaria sono di sei miliardi di dollari in tutto il mondo. Gli europei investono 11 miliardi di dollari l’anno in caramelle e gelati mentre i paesi poveri faticano a riunire 9 miliardi di dollari per pagare i servizi sanitari e l’acqua potabile. In Europa e negli USA, gli animali domestici sono più fortunati di milioni di persone in Africa, Asia e America Latina. Conigli, cani e gatti consumano 17 miliardi di dollari, sufficienti per alimentare due milioni e mezzo di famiglie, cioè 12 milioni di persone del terzo mondo per un anno. Rispetto al consumo di sigarette e bevande alcoliche nei paesi europei, il totale arriva a 155 miliardi dollari l’anno. Questo denaro è più che sufficiente per pagare il debito estero di Bolivia, Cile, Colombia, Costarica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Jamaica, Nicaragua, Panama, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela. Il rapporto conferma anche una tendenza mondiale alla concentrazione della ricchezza. Un club selezionato di 225 individui ultraricchi accumula la ricchezza equivalente a quella che si dividono le più di due miliardi e mezzo di persone più povere del mondo, che sono circa il 47% della popolazione del pianeta. Inoltre, il divario è aumentato negli ultimi due anni, poiché allora per raggiungere la stessa quantità di ricchezza bisognava raggruppare le 358 persone più ricche del mondo. Ancora, possiamo trarre delle comparazioni che fanno assomigliare il nostro mondo alla barbarie: le tre persone più ricche del mondo, che sono Bill Gates ( 39 miliardi di dollari), il sultano del Brunei e F. Anschutz ( proprietario di petroliere, ferrovie, imprese ad alta tecnologia,…) assommano la stessa quantità di ricchezza del prodotto interno lordo dei 48 paesi più poveri del mondo. Il PIL della Cina, il paese più popolato al mondo con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, non supera la ricchezza congiunta degli 84 milionari più ricchi del mondo. Ancora: con il 4% della ricchezza accumulata dalle 225 persone più ricche del pianeta, si otterrebbero i 44 miliardi di dollari necessari in un anno, come dice l’ONU, per “ottenere e mantenere l’accesso universale all’istruzione, l’attenzione di base alla sanità, l’attenzione alla salute delle donne in età riproduttiva, l’alimentazione sufficiente per tutti, l’acqua pulita per tutti.” Un ultimo spunto di riflessione: un bimbo che nasce oggi a New York o Londra consumerà nella sua vita quello che consumano 50 bambini in un paese povero. Questi erano dati che evidenziavano la grandissima disuguaglianza che c’è nel mondo ora invece vi parlo brevemente di un altro problema mondiale che riguarda soprattutto proprio i paesi più poveri: lo sfruttamento minorile. Dopo 10 anni dall’approvazione della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si sono compiute numerose azioni e presi molti provvedimenti in difesa dei minori. Ma, nonostante gli interventi contro i maltrattamenti, gli abusi, i disagi, purtroppo ancora centinaia di migliaia di minori in tutto il mondo sono privati dei loro diritti, vivono in condizioni di disagio fisico e/o psicologico, non conoscono l’affetto di una famiglia, non sanno cosa sia l’educazione; tutto questo come conseguenza della povertà, dell’abbandono, dello sfruttamento del lavoro, della violenza di maltrattamenti o dei traumi di una guerra. I nuovi e moderni mezzi di comunicazione e di informazione diffondono solo marginalmente questa scottante realtà, una realtà vergognosa e raccapricciante, in netto contrasto con le idilliache e paradisiache immagini che siamo abituati a vedere e a sognare e tanto più inaccettabile in confronto ai grandi traguardi culturali e tecnologici che il mondo ha raggiunto. I bambini i cui diritti vengono violati e calpestati sono centinaia di milioni in tutto il mondo. Possiamo dividere lo sfruttamento minorile in tre tipi: militare, lavorativo e sessuale. Militare: Migliaia di bambini vengono arruolati negli eserciti e impiegati in azioni di guerra. Moltissimi vengono catturati, mutilati, feriti, uccisi. Quelli che sopravvivono si portano dietro per tutta la vita questo terribile e violento passato. Inoltre, anche quando la guerra termina, continuano a venire uccisi dalle mine, disseminate ovunque, anche nei giocattoli lasciati appositamente ai bordi delle strade. Negli ultimi anni si è spaventosamente diffusa in tutto il mondo la pratica di armare i bambini. Nel rapporto dell’UNICEF del 1996 si legge che nel 1988 il numero dei bambini al di sotto dei 16 anni che hanno combattuto ammontava a 200.000. Nel 1986, in Uganda, l’Esercito di resistenza nazionale aveva tra le sue fila, 3.000 adolescenti, molti dei quali di età inferiore ai 16 anni, tra cui figuravano ben 500 bambine e tutti, molto spesso sono stati imbottiti di anfetamine o altre droghe. Lavorativo: E’ una piaga che interessa quasi tutti i paesi del mondo: quelli industrializzati e quelli poveri, anche se sono soprattutto questi ultimi che contano il maggior numero di bambini lavoratori. Parlare di lavoro minorile significa far riferimento ad un ventaglio variegato e piuttosto ampio di possibili attività svolte da bambini e ragazzi. Attività comprese tra il C.d. “Child Labour”, cioè i lavori pesanti legati allo sfruttamento ed alla schiavitù, e il “Child Work”, forme leggere di attività, ai limiti della punibilità anche sotto un profilo giuridico e sociale. Altra distinzione necessaria è tra il lavoro consenziente, svolto in accordo con i genitori e il lavoro forzato, che vede l’allontanamento coatto dai genitori e il passaggio ad una condizione di schiavitù. Secondo l’OIL (Organizzazione internazionale del Lavoro) il numero dei bambini che lavorano in tutto il mondo è compreso fra i 100 e 200 milioni di cui 40 milioni solo in Cina anche se le autorità hanno sempre negato l’esistenza del problema. In Africa 20 bambini su 100 sono al lavoro e in America Latina la percentuale dei bambini che lavorano arriva fino al 26%. Per non parlare di casi in cui i piccoli lavoratori devono convivere con le malattie, la violenza fisica e psicologica di sfruttatori che li costringono anche fino a 18 ore di lavoro consecutivo in stato di vera e propria schiavitù, come nel caso degli ormai purtroppo tristemente noti tessitori di tappeti. Sessuale: Se il lavoro minorile è una piaga lo sfruttamento sessuale verso i bambini è da paragonarsi ad un olocausto. L’industria sessuale è in continua crescita e l’età dei bambini coinvolti diminuisce regolarmente. Prostituzione, abusi sessuali, traffico di bambini, utilizzo per uso pornografico: queste sono solo alcune, forse le più evidenti, forme di sfruttamento sessuale dei minori. Spesso bambine e bambini vengono rapiti e venduti nei bordelli e sacrificati alla perversione di pedofili, per lo più occidentali – infermieri, diplomatici, uomini d’affari, insegnanti – individui insospettabili. Stuprati per pochi soldi ad “incontro”, queste piccole vittime sono per lo più tenute prigioniere in tuguri dove raramente entra la luce, in condizioni igieniche deprecabili, minacciati e seviziati al fine di stroncarne ogni possibile resistenza o tentativo di fuga. Come ho precedentemente detto lo sfruttamento minorile è tanto presente in un paese, quanto più questo paese è povero. Ma che cos’è la povertà? E perché malgrado l’enorme ricchezza esistono ancora paesi sottosviluppati? Nel mondo, l’estrema povertà confina infatti con l’abbondanza. Dei 6 miliardi di abitanti del pianeta, 2,8 miliardi hanno meno di 3 € al giorno per sopravvivere, e 1,2 miliardi meno di 1,50 € al giorno. Ma la povertà non è solo mancanza di soldi. Povertà è l’umiliazione, è dipendenza da altri, è non essere accettati, è essere costretti a sopportare le offese, è essere disprezzati, è trovare indifferenza quando si cerca aiuto. La povertà è una condizione inaccettabile per qualsiasi civiltà o cultura moderna perché ogni essere umano ha diritto di vivere la propria esistenza con dignità e nel rispetto della sua coscienze di essere umano. Purtroppo gli uomini non hanno tutti la stessa visione di questo concetto. Per me, infatti, l’esperienza della povertà non comprende solamente basse retribuzioni e consumi ridotti al minimo,ma anche difficoltà d’accesso ad un adeguato livello di educazione, di risorse sanitarie e d’alimentazione. Supera gli aspetti monetari per includere il pericolo e la vulnerabilità, l’impotenza rispetto all’incertezza quotidiana, l’incapacità a far udire la propria voce. L’esperienza della povertà non è quindi solo mancanza di benessere materiale, ma anche negazione dell’opportunità di vivere una vita tollerabile. La situazione di povertà è determinata da varie cause anche non dipendenti dall’uomo: la posizione geografica di conseguenza il clima. Il caldo in alcuni di questi paesi non consente la produzione di prodotti che potrebbero accrescere l’esportazione. I metodi agricoli che adottano le popolazioni della zona facilitano il degrado ambientale. Per esempio nell’Africa Sub-Sahariana il progresso sociale non è stato in grado di andare di pari passo con l’elevata crescita della popolazione. La sovrappopolazione è un’altra causa importante. La già bassa produttività non riesce a soddisfare i bisogni di tutte le persone presenti nel territorio. Poi le continue guerre civili (o militari) presenti in questi paesi distruggono quel poco che c’è. La bassa produttività, dovuta anche alla mancanza di tecnologia. Posso quindi dire che quello della povertà è un circolo vizioso e se non si riesce ad eliminare un anello continuerà all’infinito. Ecco alcune modi, probabilmente utopistici, per combattere la povertà: 1) Creare un’efficace rete di infrastrutture come strade, ponti, ferrovie etc… 2) Superare lo “scambio ineguale” alzando il prezzo delle materie prime esportate dal Terzo Mondo 3) Rimuover le barriere protezionistiche nei paesi sottosviluppati, per agevolare le esportazioni del Terzo Mondo 4) Concordare agevolazioni creditizie per ridurre l’indebitamento dei paesi sottosviluppati 5) Finanziare gli investimenti nel settore agricolo per aumentare la produzione di generi di prima necessità. Per quanto mi riguarda, basterebbe avere un cuore un po’ più generoso per aiutare a risolvere tutti questi problemi. Inevitabile compagna della povertà, e pertanto problema “vivo” soprattutto nel Terzo Mondo, è la fame. Circa il 30 per cento della popolazione mondiale soffre di qualche forma di malnutrizione. Chi riceve gli indispensabili apporti energetici o nutritivi in quantità insufficiente non riesce a svolgere una vita sana e attiva: le conseguenze sono malattie gravi, morti e un’incalcolabile perdita delle potenzialità umane e dello sviluppo sociale. Nei paesi in via di sviluppo una persona su cinque è cronicamente sottoalimentata, per un totale di 777 milioni di individui. Per raggiungere l’obiettivo del Vertice mondiale sull’alimentazione – dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati – bisogna ridurre questo numero di 22 milioni all’anno, contro i 6 milioni attuali. Il 55 percento dei 12 milioni di bambini che muoiono ogni anno è dovuto alla malnutrizione. Più di 2 miliardi di persone soffrono di deficienze micronutritive, come l’anemia: 2 miliardi di persone; carenza di iodio 740 milioni di persone; deficienza di vitamina A 100-140 milioni di bambini; arresto dello sviluppo 177 milioni di bambini; nascite sotto peso circa il 17 percento dei neonati e fino al 50 percento in alcuni dei paesi meno sviluppati. I problemi sono tanti, di difficile soluzione talmente grandi e complicati che a volte mi sento demoralizzato e impotente ma qualcosa bisogna fare, io ho qualche idea e ve la voglio esporre. Quindi riallacciandomi alla filosofia di un importante associazione chiamata la Buona Volontà Mondiale (BVM), che lavora per stabilire giusti rapporti umani attraverso l’uso della buona volontà ecco quali potrebbero essere i miei e i vostri obbiettivi Stimolare e incoraggiare gli uomini e le donne di buona volontà ovunque a stabilire giusti rapporti umani tra le razze, religioni, nazioni e classi attraverso un’intelligente comprensione e una adeguata comunicazione. Assistere uomini e donne di buona volontà nei loro studi sui problemi del mondo, e nella effettiva applicazione della buona volontà a questi problemi, cooperando e contribuendo al bene comune. Cooperare con altre organizzazioni in attività costruttive che contribuiscano all’unità mondiale, stabilità e giusti rapporti umani. Mettere a disposizione informazioni aggiornate su attuali azioni costruttive nei principali campi della vita umana attraverso la pubblicazione di un notiziario trimestrale e commentari della buona volontà su argomenti di interesse mondiale. Aiutare a instaurare la buona volontà come nota chiave della nuova civiltà. Compilare una lista a livello mondiale con tutti i nomi degli uomini e delle donne di buona volontà Sostenere il lavoro delle Nazioni Unite e delle sue Agenzie Specializzate come migliore speranza per un mondo unito nella pace. Non siete d’accordo con me che se tutti avessero quella buona volontà il mondo potrebbe concretamente cambiare ed essere migliore.
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