Attentato alla sede parigina di Charlie Hebdo
La religione può essere una scusa per compiere una strage, ma alla base c’è solo razzismo.
Mercoledì 7 gennaio 2015, alle 11.30 del mattino, a Parigi, un commando composto da tre persone è entrato nella sede del giornale Charlie Hebdo e, gridando frasi che innegiavano ad Allah (cioè Dio per i musulmani), ha ucciso a colpi di mitra 12 persone:
Stéphane Charbonnier detto Charb (direttore di Charlie Hebdo),
Jean Cabut detto Cabu (vignettista),
Georges Wolinski (vignettista),
Bernard Verlhac detto Tignous (vignettista),
Bernard Maris (economista e giornalista con una rubrica su Charlie Hebdo),
Philippe Honoré (vignettista),
Michel Renaud (giornalista in visita alla redazione di Charlie Hebdo)
Elsa Cayat (psicanalista e giornalista con una rubrica su Charlie Hebdo)
Mustapha Ourrad (corettore di bozze di Charlie Hebdo)
Frederic Boisseau (addetto alla manutenzione dell’edificio)
Franck Brinsolaro (poliziotto e guardia del corpo del direttore Charb)
Ahmed Merabet (poliziotto)
In segno di solidarietà con le vittime del giornale Charlie milioni di persone hanno iniziato a usare, postare sui social e sfilare con la scritta Je suis Charlie (Io sono Charlie).
L’immagine simbolo della lotta solidale, che prende a prestito il celebre Charlie Brown, è opera del giornalista inglese Magnus Shaw. Questo atto non è grave “solo” per il fatto che sono rimaste uccise 12 persone innocenti: si tratta del più grave attentato terroristico in Francia dal 1961. Ma non è questo a stupirci.
È il motivo per cui sono stati uccisi che lascia senza parole: disegnini.
Charlie Hebdo era da tempo nel mirino dei fondamentalisti per aver pubblicato vignette che prendevano in giro e ridicolizzavano, a volte in maniera molto pesante, la religione islamica.
Del resto, i suoi disegnatori, da sempre, non avevano mai risparmiato nessuno: che si trattasse del Papa, di un politico, di ET l’extraterrestre, Babbo Natale o Maometto non faceva differenza. Di tutto si poteva ridere.
Persino della morte, come si vede proprio in una vecchia copertina di Charlie Hebdo. Il titolo dice “Si può ridere della morte”? A sinistra si vede uno scheletro con la falce. A destra un uomo che lo indica sganasciandosi e dicendo “Non ha le mutande!”.
I disegnini di Charlie Hebdo erano così. Estremi, irriverenti, blasfemi, anarchici, osceni, di sicuro non adatti ai più piccoli (anche se uno dei disegnatori uccisi, Cabu, collaborò ad alcuni programmi televisivi per bambini), sicuramente offensivi per molti. Però erano pur sempre disegnini.
Si può uccidere un disegnino?Di sicuro è quello che vorrebbe chi ha compiuto e voluto la strage.
In tutto il mondo, però, altri disegnatori hanno iniziato a rispondere con altri disegnini
In una di queste, molto triste, si vede un bambino che fa un disegnino colorato per terra e un uomo nero che gli punta un mitra alla testa.
In un’altra si vede una pagina bianca con una scritta sopra che, ironicamente, dice: “Per favore, goditi questa vignetta culturalmente, etnicamente, religiosamente e politicamente corretta”. È questo il senso profondo e terrificante di ciò che è avvenuto ieri: cercare di farci stare zitti, ridurci a una pagina bianca che, per non dare fastidio a nessuno, non dice più nulla.
Sono sicura che Charlie Hebdo e tutti gli altri giornali come lui continueranno a riempire le loro pagine bianche con altrettanti disegnini estremi, irriverenti, blasfemi, anarchici, osceni, offensivi.
Si chiama libertà di stampa!
Io stessa, leggendo della srage sono stata colpita nell’orgoglio perchè con dei miei amici faccio fumetti che prendono in giro la scuola, la società e altro. I nostri disegni rimangono tra noi, però mi fa quasi paura pensare che gente col mitra possa venire a minacciare me e i miei amici.
Mi dispiace: non si uccide così un disegnino e per un disegnino!
Tratto da:
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