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L’inflazione


L’inflazione al consumo è un processo di aumento del livello generale dei prezzi dell’insieme dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie. Generalmente, si misura attraverso la costruzione di un indice dei prezzi al consumo.
In Italia, come nella maggior parte dei paesi, il calcolo dell’indice è affidato all’Istituto nazionale di statistica. Un indice dei prezzi al consumo, infatti, è uno strumento statistico che misura le variazioni nel tempo dei prezzi di un insieme di beni e servizi, chiamato paniere, rappresentativo degli effettivi consumi delle famiglie in uno specifico anno.
I tre indici si basano su un’unica rilevazione e sulla stessa metodologia di calcolo, condivisa a livello internazionale.
NIC e FOI si basano sullo stesso paniere, ma il peso attribuito a ogni bene o servizio è diverso, a seconda dell’importanza che questi rivestono nei consumi della popolazione di riferimento. Per il NIC la popolazione di riferimento è l’intera popolazione italiana, ovvero la grande famiglia di oltre 57 milioni di persone; per il FOI è l’insieme di famiglie che fanno capo a un operaio o un impiegato.
L’IPCA ha in comune con il NIC la popolazione di riferimento, ma si differenzia dagli altri due indici perché il paniere esclude, sulla base di un accordo comunitario, le lotterie, il lotto, i concorsi pronostici e i servizi relativi alle assicurazioni sulla vita.
Un’ulteriore differenziazione fra i tre indici riguarda il concetto di prezzo considerato: il NIC e il FOI considerano sempre il prezzo pieno di vendita. L’IPCA si riferisce invece al prezzo effettivamente pagato dal consumatore. Ad esempio, nel caso dei medicinali, mentre per gli indici nazionali viene considerato il prezzo pieno del prodotto, per quello armonizzato europeo il prezzo di riferimento è rappresentato dalla quota effettivamente a carico del consumatore (il ticket). Inoltre, l’IPCA tiene conto anche delle riduzioni temporanee di prezzo






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FAME NEL MONDO


Fame significa non disporre dei generi alimentari sufficienti a soddisfare i bisogni di ogni essere umano. La fame è un problema in tutto il mondo in qualsiasi paese e/o regione vi sono persone che non hanno un alimentazione sufficiente.
Le persone che soffrivano la fame nel 2001 ammontavano a 800 milioni.
Oggi muoiono 24000 persone al giorno per la fame o per cause ad essa collegate, 4000 per l’uso di latte fornito dalla Nestlè.
Il 10% dei bambini muore prima di aver raggiunto i 5 anni.
Le carestie e le guerre causano parte dei decessi per la fame, ma le cause più diffuse sono legate alla malnutrizione, perché i nuclei familiari non riescono ad avere una quantità di cibo sufficiente e sana a causa dell’estrema povertà.






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I DATI SULLA FAME NE…

I DATI SULLA FAME NEL MONDO


1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate. I dati sono migliorati rispetto alle 35.000 persone di dieci anni fa o le 41.000 di venti anni fa. Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d’età.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benchè queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all’estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un’estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l’accesso all’acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l’istruzione. Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame.


Fonti (divise in paragrafi):
1) Il Progetto contro la Fame nel Mondo, Nazioni Unite;
2) CARE;
3) Istituto per la promozione dello sviluppo e dell’alimentazione;
4) Programma mondiale per il cibo delle Nazioni Unite (WFP);
5) Organizzazione delle Nazione Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO);
6) Oxfam;
7) Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF)















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Le Nazioni Unite e alcune organizzazioni non governative

Le Nazioni Unite e alcune organizzazioni non governative, come l’Opam (Opera di promozione dell’Alfabetizzazione nel mondo) o la Swap, un’associazione no profit per lo sviluppo e il progresso delle donne – regolarmente registrata presso il governo Liberiano – compiono da sempre sforzi significativi per ridurre il tasso di analfabetismo nei Paesi in via di sviluppo Oggi, tuttavia, sono ancora circa un miliardo gli adulti analfabeti nel mondo. Fra gli ottantotto milioni di bambini che non frequentano la scuola e che non sanno leggere, due terzi sono bambine1. Il divario fra coloro che hanno accesso all’istruzione, incluso l’accesso ad Internet, e coloro che invece non godono di questo privilegio sta aumentando consistentemente. Di qui l’urgente ed irrinunciabile necessità di un impegno maggiore a favore dell’alfabetizzazione.
1 Nazioni Unite, Messaggio del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, in occasione della Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione 8 settembre 2001, reperibile sul sito
www.onuitalia.it, p.1.
Strategie e obiettivi fissati dall’Unesco
L’Unesco – l’agenzia Onu per l’educazione, la scienza e la cultura – è impegnata in prima linea per ridurre il tasso di analfabetismo nel terzo mondo. Il suo programma per l’anno 2002-2003 verterà essenzialmente sulla realizzazione efficace e vigorosa degli obiettivi enunciati durante il Forum mondiale sull’educazione, svoltosi a Dakar nell’aprile 20002, e successivamente ribaditi nel settembre 2000 con la Dichiarazione del Millennio enunciata dai leader di tutto il mondo3. A tal fine l’Unesco ha definito l’istruzione di base per tutti una priorità assoluta. Un fattore molto importante riguarda l’impegno assunto dall’agenzia delle Nazioni Unite ad elaborare strategie puntuali per accrescere l’efficacia dell’educazione quale mezzo atto a favorire l’autonomia degli strati più poveri della popolazione mondiale. In questo contesto, le finalità enunciate dall’Unesco comportano la difesa e la promozione del diritto all’educazione e la formulazione di progetti relativi all’alfabetizzazione a favore delle classi più deboli, avvalendosi della collaborazione di rappresentanti della società civile e di partner internazionali.
2 Unesco, Programme e budget approuvés 2002-2003, Paris, 2002, p.13.
3 United Nations, Basic Facts, New York, 2000, p.173.
Quanto all’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo educativo, l’Unesco considera la scolarizzazione delle ragazze quale parte integrante dell’azione intrapresa per lottare contro la povertà ed assicurare lo sviluppo sociale. Tale azione è peraltro un elemento essenziale delle attività discusse in occasione del Forum di Dakar, volte ad eliminare da qui al 2005 le disparità fra i sessi nell’insegnamento primario e secondario, fino ad instaurare la piena uguaglianza in questo campo4.
4 Unesco, Programme, p.26.
Un altro obiettivo tracciato nel programma dell’Unesco affronta la questione spinosa della riduzione del gap tecnologico, in altre parole della possibilità di riscatto per il terzo mondo attraverso l’uso delle nuove tecnologie5. Attualmente, però, i dati sull’accesso alla Rete appaiono sconfortanti. La frattura numerica tra i Paesi tecnologicamente avanzati e non si sta espandendo. Secondo il Bureau International du Travail, l’Africa e il Medioriente raggruppano insieme appena l’1% degli utenti Internet, mentre gli Stati Uniti e il Canada da soli contano circa il 57%6. Nel luglio 2001 l’Ecosoc (Economic and Social Council) delle Nazioni Unite ha promosso una conferenza mondiale sull’accelerazione dello sviluppo economico attraverso la Rete, le cui conclusioni hanno dimostrato che ci sono più connessioni a New York che in tutto il continente africano. Inoltre più del 90% degli accessi ad Internet si trova nei Paesi sviluppati e la metà della popolazione mondiale non possiede il telefono7.
5 United Nations, Basic Facts, p.193.
6 Dai fossati tecnologici alla dot force, reperibile sul sito
www.globalforum.it, p.1.
7 Dai fossati tecnologici, p.2.
Altro problema rilevante – al di là delle infrastrutture tecnologiche – attiene all’acquisizione di un’adeguata competenza per utilizzarle. Stando ad un recente rapporto dell’Ocse (Organizzazione di Cooperazione e di Sviluppo Economico), realizzato tra un campione eterogeneo di 3 000 persone di età compresa fra i 16 e i 65 anni, un quarto dei venti Paesi industrializzati che vi aderiscono non possiede le competenze necessarie per navigare in maniera consapevole8.
8 Dai fossati tecnologici, ibidem.
Allo scopo di rendere l’alfabetizzazione informatica e gli strumenti tecnologici patrimonio universale, l’Unesco si è posto l’obiettivo dell’elaborazione di politiche e strategie volte ad incoraggiare la produzione, la salvaguardia e la circolazione di contenuti educativi ­ scientifici e culturali ­ destinati ad essere diffusi attraverso la Rete. L’agenzia Onu intende promuovere la diversità linguistica e culturale nel cyberspazio attraverso il lancio d’iniziative, come il programma B@bel, che mira allo sviluppo del multilinguismo su Internet 9.
9 Unesco, Stratégie à moyen terme 2002-2007, Paris, 2002, p.51.

L’alfabetizzazione e le donne
All’inizio del terzo millennio, le donne (circa 2,87 miliardi in tutto il mondo)10 vivono in situazioni molto differenziate, sul piano culturale, sociale ed economico, e molte di esse lottano per la conquista dei propri diritti. Per le donne che vivono nelle zone rurali l’alfabetizzazione rappresenta un vantaggio che si ricollega direttamente alla loro vita di tutti i giorni. L’istruzione permette loro di comprendere le prescrizioni mediche, leggere le etichette dei farmaci, diventare autonome e sconfiggere lo sfruttamento economico. Più in generale, attraverso l’alfabetizzazione le donne sono in grado di migliorare le condizioni di vita della propria famiglia (salute, alimentazione), assicurare il benessere dei propri figli, utilizzare le nuove tecnologie. Diversi studi hanno dimostrato, inoltre, che le madri alfabetizzate hanno maggiori probabilità di infrangere quelle pratiche tradizionali, consistenti nell’impiego di cure basate su rimedi naturali di incerta efficacia, spesso nocive per la salute 11. Invero esse hanno sicuramente un atteggiamento meno fatalista nei confronti delle malattie. Più aperte alle moderne cure mediche, esse favoriscono la loro sopravvivenza e quella dei componenti della propria famiglia 12.
10 Opam, n.5(2002), Anno XXX, p.9.
11 Krystyna Chlebowska, Les femmes rurales face à l’analphabétisme, Parigi, Unesco, 1990, p.55.
12 United Nations, Basic Facts, p.172.
Esiste al tempo stesso una correlazione fra l’istruzione e il tasso di mortalità infantile. In Pakistan e in Indonesia, ad esempio, è stato constatato che il tasso di mortalità infantile diminuiva addirittura del 50% nel caso di madri che avevano frequentato la scuola elementare13. Le madri alfabetizzate, inoltre, di solito mettono al mondo meno figli rispetto a quelle che non hanno ricevuto un’istruzione.
13 Chlebowska, Les femmes, p.56.
Un aspetto direttamente connesso all’alfabetizzazione delle donne è quello della scolarizzazione. Soprattutto nelle zone rurali dove le possibilità di trasporto sono limitate, i genitori spesso esitano a mandare le proprie figlie in scuole che distano dai villaggi in cui vivono. Per di più quando esistono, i mezzi di trasporto raramente sono gratuiti 14. Le famiglie troppo povere sono costrette a rinunciare alla scolarizzazione dei propri figli o a dover compiere una scelta. Scelta che nella maggior parte dei casi andrà a discapito delle figlie femmine. Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici – così frequenti fra le ragazze – il matrimonio e le maternità precoci figurano fra le cause principali alla base dell’interruzione degli studi.
14 Chlebowska, Les femmes, p.71.
Ma le ragioni profonde dell’esclusione delle figlie femmine dall’universo scolastico sono da rinvenire soprattutto nello stato della donna rurale – generalmente povera – oltre che nel suo ruolo fortemente sottovalutato in seno alla famiglia, come all’interno della comunità e della società. Per i genitori, infatti, la scolarizzazione delle ragazze non ha lo stesso peso di quella dei ragazzi, destinati un giorno ad assumere il ruolo di capifamiglia. Mandare una ragazza a scuola raramente è considerato una necessità, laddove le famiglie – ma soprattutto le madri – ritengono le faccende domestiche una priorità. Per aiutare la madre oberata di lavoro, la figlia femmina solitamente resta a casa, dove prepara da mangiare, si prende cura dei fratelli e delle sorelle minori, mentre la madre lavora nei campi.
In alcuni Paesi, poi, molte bambine non vanno a scuola magari solo perché non esistono servizi igienici separati tra maschi e femmine; temendo situazioni promiscue, i genitori preferiscono tenere a casa le bambine. Oppure, perché la distanza da casa a scuola è ritenuta eccessiva per la loro sicurezza. O ancora perché non ci sono abbastanza insegnanti donne 15.
15 Comitato italiano per l’Unicef-Onlus, Dalla parte dei bambni, n.1(2002), Anno IX, p.11.
Dunque, non è sufficiente parlare di istruzione delle ragazze se non si conoscono e comprendono a fondo i contesti sociali e le tradizioni di ogni singolo Paese. Per questo il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia – l’Unicef – promuove programmi speciali che tengono presente le diverse realtà, oltre ai contenuti educativi.
Il cammino da percorrere per favorire la crescita del tasso di alfabetizzazione e scolarizzazione delle donne nei Paesi in via di sviluppo appare ancora in salita, anche se non mancano segnali positivi. Così, malgrado persistano ancora oggi le disuguaglianze economiche, le discriminazioni di casta e le antiche usanze tribali, in alcuni Stati indiani si intravede un lieve miglioramento strutturale. Fa ben sperare anche l’infaticabile lavoro portato avanti da alcune organizzazioni non governative, come l’Ado, che dal 1990 si occupa dello sviluppo delle donne del Bangladesh. Qui l’analfabetismo è pressoché totale: solo il 21% sa leggere e scrivere, e di questo 21% solo il 30% sono donne16.
16 Opam, n.5(2002), Anno XXX, pagg.10-11.
L’infanzia e il diritto allo studio negato
Nel 1999 Carol Bellamy, il direttore generale dell’Unicef, sostenne che “oltre 130 milioni di bambini in età di scuola elementare crescono nei Paesi in via di sviluppo senza poter disporre dell’istruzione di base e altri 20 milioni di bambini non riescono a completare neppure quattro anni di scuola: il minimo, secondo gli standard internazionali, per poter considerare un ragazzo alfabetizzato”17. La questione della scolarizzazione dei bambini ha due aspetti fondamentali: quello quantitativo che riguarda la necessità di un maggior numero di scuole e insegnanti, e quello qualitativo che attiene al tipo d’insegnamento impartito. Buona parte degli abbandoni scolastici, infatti, sono dovuti alla cattiva qualità delle scuole: troppo affollate, prive di mezzi, ma soprattutto estranee alle realtà locali e ai problemi quotidiani delle popolazioni più povere. L’impiego delle lingue ex coloniali – invece delle lingue locali – nei primi anni di scuola, rappresenta un concreto ostacolo alla diffusione dell’istruzione, e sovente i programmi educativi stentano ad adattarsi ai cambiamenti economici, politici, sociali e culturali che si verificano nei Paesi in via di sviluppo18.
17 Dipco (Settimanale ufficiale della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo), n.3 (1999), reperibile sul sito www.esteri.it, p.1.
18 United Nations, We the peoples – The role of the United Nations in the twenty-first century – (The Millennium Report), New York, 2000, p.113.
Il fenomeno dell’evasione scolastica dei minori è peraltro un problema strettamente connesso alle guerre e malattie che colpiscono i Paesi in via di sviluppo. A questo proposito non lascia dubbi il rapporto diffuso dall’Unicef, dal titolo “Lo stato dei bambini nel 2000”: sono proprio i minori le principali vittime dei conflitti e delle epidemie. Stando a questo rapporto negli anni novanta la guerra ha ucciso più di due milioni di bambini, mentre sei milioni sono rimasti gravemente feriti19.
19 Unicef: lo sforzo per l’infanzia annullato da guerre e malattie, reperibile sul sito www.cnnitalia.it p.1.
C’è poi il flagello dell’Aids che attacca senza pietà il mondo dell’infanzia, e i cui effetti nel continente africano si sono rivelati devastanti. Solo nel 2000, ad esempio, oltre un milione di bambini ugandesi e 700 000 bambini etiopi sono rimasti orfani per colpa di questa terribile malattia20. Il virus dell’Hiv minaccia di compromettere anni e anni d’investimenti nel settore educativo e dello sviluppo sociale, in particolare nell’Africa subsahariana, in America Latina e nei Caraibi. L’Aids colpisce soprattutto le persone povere e non istruite. E’ per questo che le Nazioni Unite si sono poste l’obiettivo di ridurre – entro il 2005 – il tasso d’infezione nei giovani fra i 14 e i 24 anni residenti nei Paesi più colpiti del 25%. Entro il 2010 l’Onu conta invece di ridurre il medesimo tasso in tutto il mondo del 25%21. Per contrastare efficacemente questa piaga, l’Unesco si è impegnato, dal canto suo, ad intervenire nel campo dell’educazione preventiva, mettendo a frutto la propria esperienza interdisciplinare, le sue conoscenze scientifiche, la sensibilità ai differenti contesti sociali e culturali e lo sviluppo delle capacità in materia di comunicazione. Così facendo, l’Unesco agirà peraltro in conformità alla Dichiarazione sui Diritti del Bambino (1989), che riconosce la particolare vulnerabilità dei minori e raggruppa in un unico trattato tutte le misure volte a tutelare e difendere i diritti dell’infanzia. 22
20 Unicef: lo sforzo per l’infanzia, pagg.1-2.
21 Unesco, Stratégie, p.25.
22 United Nations, Basic Facts, p.221.
L’alfabetizzazione dei minori nei Paesi in via di sviluppo, tuttavia, potrà progredire solo lottando contro l’estrema povertà del Sud del mondo 23. I dati raccolti nel 2000 dall’Unicef illustrarono in tutta la sua drammaticità la realtà di 600 milioni di bambini nel mondo costretti a vivere sotto la soglia di povertà. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia rilevò che, nonostante la crescita complessiva dell’economia mondiale, un miliardo e 200 milioni di persone continuavano a vivere con meno di un dollaro al giorno24.
23 United Nations, We the peoples, p.111.
24 Unicef: lo sforzo per l’infanzia, pag. 2.
I disastri e le calamità naturali, abbattutisi recentemente su numerosi Paesi in via di sviluppo – soprattutto asiatici – hanno portato al taglio delle spese sociali e costretto molti bambini a lasciare la scuola. Lo scorso marzo, ad esempio, un violento terremoto si abbatté sulla vecchia città di Nahrin, nell’Afganistan settentrionale, provocando la distruzione di decine di villaggi nel circondario. Il sisma – evento purtroppo frequente in questa regione dell’Asia – colpì un’area resa già vulnerabile dalla prolungata siccità, dove l’80% delle famiglie sopravvive solo mediante gli aiuti umanitari25. In questa circostanza l’Unicef si mobilitò immediatamente, predisponendo per l’inizio dell’anno scolastico grandi tende-scuola da 50 posti ciascuna e munite di servizi igienici autonomi26. 25 Comitato italiano per l’Unicef-Onlus, Dalla parte dei bambini, p.7.
26 Comitato italiano per l’Unicef-Onlus, Dalla parte dei bambini, ibidem.
C’è infine il grave problema dello sfruttamento sessuale dei bambini e degli adolescenti che spesso finiscono per essere del tutto allontanati dalle loro famiglie d’origine. Va da sé che molti di questi ragazzi non avranno mai la possibilità di compiere un normale percorso di studi e saranno pertanto destinati a restare analfabeti. Il coordinatore dei programmi dell’Unicef in Benin, Jean Dricot, afferma che “tradizionalmente le famiglie sistemano i loro figli e figlie presso parenti più fortunati con l’idea di offrire loro migliori condizioni di vita. Essi ignorano, però, che questo sistema alimenta un traffico di bambini e bambine all’interno del quale essi vengono sfruttati e subiscono maltrattamenti, quali frequenti rimproveri, percosse e stupri27.
27 I bambini delle rose, reperibile sul sito www.tmccrew.org, p.3
Da questo stato di cose si evince chiaramente come la scuola risulti un lusso per i minori del Terzo mondo. Dove esistono esperimenti di attuazione di progetti di scolarizzazione (“Educom” come si definiscono quelli resi operativi nello stesso Benin dall’Unicef), le maestre sono scelte fra le poche donne che sanno leggere e scrivere e che hanno uno stipendio minimo pagato dalla stessa comunità. Per assicurare un’istruzione di qualità si cerca la collaborazione delle autorità locali al fine di potenziare le strutture finalizzate alla formazione degli educatori28. Nel progetto ha gran parte la sensibilizzazione dei genitori: l’esperienza precedente ha dimostrato, infatti, che il coinvolgimento di tutta la comunità, costituisce l’elemento essenziale per la sua riuscita29.
28 Unicef, Girls’ Education in Benin, reperibile sul sito www.unicef.org, p.1.
29 I bambini delle rose, p.4.
Nel 1996, di fronte alla gravità del fenomeno dello sfruttamento sessuale infantile e alla sua vertiginosa espansione tramite mezzi tecnologici, quali Internet, la comunità internazionale si riunì a Stoccolma con la volontà d’intervenire per porvi rimedio30. Cinque anni dopo, esattamente dal 17 al 20 dicembre scorso, si svolse a Yokohama il secondo “Congresso internazionale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali”, nel quale furono affrontati temi come la pornografia infantile, i traffici di minori, il profilo di chi abusa, la reintegrazione delle vittime. Nei mesi precedenti il congresso, l’Unicef realizzò alcune consultazioni regionali, al fine di analizzare dati e verificare l’evoluzione della situazione rispetto al Congresso di Stoccolma. Ebbene, anche in questo frangente la delegazione Unicef sottolineò come l’istruzione fosse la chiave per eliminare gli abusi sessuali e qualsiasi tipo si sfruttamento dell’infanzia31.
30 Unione europea, Bollettino – Congresso mondiale sullo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali – , n.9 (1996), p.1.
31 Unicef, Concluso a Yokohama il secondo congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, reperibile sul sito
www.unicef.it , p.1.
Conclusioni
Oggi un’ampia ed uniforme diffusione dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione nel Terzo mondo sembra ancora lontana. Fanno ben sperare, tuttavia, numerosi progetti pilota portati avanti da singoli governi, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative d’ispirazione laica e religiosa.
Per citare un esempio, la Comunità S.Egidio ­ presente in Africa da oltre 20 anni ­ allo scopo di fronteggiare la diffusione dell’Aids che sta decimando la popolazione e corrodendo il precario sistema economico, scolastico e sanitario, mise a punto nel 2001 un progetto di educazione sanitaria di base, da realizzare in Mozambico, dove anche la guerra ha contribuito a devastare le principali strutture del Paese. Il progetto si proponeva di formare a livello nazionale un gruppo di 18 educatori africani con il compito di trasmettere alle popolazioni locali le conoscenze acquisite, privilegiando fra i destinatari i giovani e le donne32.

32 Opam, n.1-2 (2002), Anno XXX, p.5.

Un’altra iniziativa degna di nota fu lanciata lo scorso anno dalla Caritas del Nicaragua. Alcuni volontari decisero di promuovere l’alfabetizzazione degli abitanti di Ocotal, una località molto povera della Nuova Segovia, a nord del Nicaragua. I residenti di questa zona, per ragioni politiche, militari ed economiche, oltre che a causa di fenomeni naturali – come l’uragano Mitch del 1998 – e la recente siccità, avevano subito perdite gravissime nell’agricoltura. L’analfabetismo ha contribuito a diffondere la povertà in questa zona rurale. Di qui l’intento della Caritas di elevare il livello educativo dei giovani e degli adulti attraverso corsi sulla consapevolezza dei diritti umani, sui diritti dei minori e delle donne, sulle relazioni umane e altri temi riguardanti l’educazione e la formazione dei partecipanti.
33 Opam, n.1-2, (2002), Anno XXX, p.8.
Infine, sempre più governi si stanno mobilitando per facilitare ai minori l’accesso all’istruzione: in Malawi, dove sono state eliminate le tasse scolastiche e abolito l’obbligo delle uniformi; o in Cina, dove alcuni villaggi e comunità hanno stabilito di accordare prestiti e fondi per lo sviluppo ai genitori che permettono alle loro figlie di frequentare la scuola.
34 United Nations, We the peoples, p.114.
Investire nell’alfabetizzazione e scolarizzazione appare, dunque, la strategia a lungo termine più efficace per permettere a tutti gli esseri umani di divenire artefici del proprio destino e non subire più passivamente soprusi, violenza e miseria. In questo contesto, i Paesi industrializzati possono peraltro fornire il loro contributo, aumentando i loro aiuti ai Paesi in via di sviluppo in modo da aiutare questi ultimi a ridurre – se non proprio a cancellare – il loro debito estero. E’ proprio questa, infatti, una delle ragioni principali che impedisce alle Nazioni povere di raccogliere sufficienti fondi per l’educazione, ma anche per la sanità, la programmazione delle nascite e la distribuzione dell’acqua. Ricordando che già la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948, definiva l’educazione come un diritto fondamentale di tutti gli uomini, l’essenzialità dell’alfabetizzazione nel Sud del mondo emerge inequivocabilmente dalle suggestive parole del Segretario Generale, Kofi Annan, per il quale “L’educazione è la chiave della nuova economia globale … E’ uno strumento centrale per lo sviluppo, il progresso sociale e la libertà” 35

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Siamo qui per sperimentare un nuovo media, ma anche modalità diverse di studio, per questo ritengo sia importante fermarsi un attimo a riflettere sull’uso che abbiamo fatto fino ad ora del Blog.
Trovo che gli articoli e i commenti pubblicati siano molto interessanti e meritevoli di un approfondimento, poiché sollevano una vasta quantità di problematiche difficili da esaurire in un solo scritto. Nei vostri testi sono riportati molti dati statistici, ma anche suggerimenti, proposte e domande. Penso sia importante riflettere e discutere, per non disperdere quello che finora avete fatto.
Vorrei, però, sottolineare che le indicazioni operative che lascio sul Blog non possono essere ignorate o disattese.
Penso vi troviate d’accordo con me nell’affermare che le tematiche che più vi hanno interessato si riferiscono principalmente alla povertà, alla fame e all’analfabetismo.
Invito tutti a proseguire il dibattito nei commenti a questo post e ricordo, ancora una volta, quanto sia importante citare la fonte delle nostre informazioni.
Per quanto riguarda le questioni tecniche relative alla stesura e alla pubblicazione degli articoli rimando alla lezione in classe.

Buon proseguimento.

carla

Dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Articolo. 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo. 22
Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.

Articolo. 25
1) Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
2) La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Articolo. 26
1) Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria.
L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.
2) L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
3) I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.

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Radicali cambiamenti

I radicali cambiamenti che stanno investendo, in questi anni, il mercato del lavoro hanno condizionato fortemente le trasformazioni in atto nella scuola italiana. Da sempre il sistema formativo si è dovuto adeguare alle esigenze del capitale che richiede, all’interno del mercato, forza lavoro costantemente ricattabile e sempre compatibile con le fasi di ristrutturazione economica in atto. Oggi il processo di ristrutturazione ha prodotto la globalizzazione dei mercati e questo, in un quadro ristretto ai paesi occidentali, costringe i governi a ridurre le spese del vecchio stato sociale e, in ambito formativo a creare nuovi soggetti flessibili, precari e sempre più specializzati. In questo scenario le imprese entrano direttamente nella didattica e oltre a condizionare i programmi contribuiscono alla formazione diretta della manodopera studentesca sfruttandone, all’interno dei processi produttivi, il bassissimo costo e l’assuefazione ai continui ricatti. In questo modo oltre a rendere immediatamente produttiva la massa studentesca (praticamente a costo zero) le imprese si garantiscono un vantaggioso ricambio generazionale formando a loro piacimento il corpo dei futuri lavoratori che andranno a sostituire i vecchi, condizionandone, fin da subito, comportamenti e prestazioni. L’istruzione dunque viene sostituita dal concetto di formazione e, in alcuni casi (istituti professionali e tecnici) si resuscita addirittura il vecchio apprendistato. Tutto questo squallido scenario è stato dipinto grazie all’operato dei governi di centrosinistra, consapevoli di inserire questa riforma all’interno di un processo di ristrutturazione economica a livello globale, che in Europa viene garantito da tutti i governi socialdemocratici.

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Per non dimenticare: 27 gennaio, la Giornata della Memoria

Questa immagine molto nota documenta la deportazione degli Ebrei polacchi dal ghetto di Varsavia. Voglio invitarvi ad osservarla e a riflettere per un istante proprio per non dimenticare la Shoah che ha colpito innanzitutto gli ebrei europei , gli zingari, i Testimoni di Geova , e i ” diversi ” ( portatori di handicap , omosessuali , ecc.) nel nome della superiorità e purezza della razza Ariana.
Queste idee razziste erano diffuse in molti paesi Europei . In Italia il 15 novembre 1938 furono emanate le Leggi Razziali .l’art 3 diceva testualmente: “Alle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, frequentate da alunni italiani non possono essere iscritti alunni di razza ebrea. E’ tuttavia consentita l’iscrizione degli alunni di razza ebraica che professino la religione cattolica nelle scuole elementari e medie dipendenti dalle autorità ecclesiastiche.
(da Ecco i Razzisti.Santa Maria degli Angeli 1995-Tipografia Parziuncola)

YATA 21 e PLINSKY

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La fame nel mondo

I DATI SULLA FAME NEL MONDO
1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate. I dati sono migliorati rispetto alle 35.000 persone di dieci anni fa o le 41.000 di venti anni fa. Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d’età.
2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Anche in questo caso, il dato è migliorato rispetto al 28% di cinquanta anni fa.
3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi per fame, benché queste siano le cause di cui si sente più spesso parlare. La maggior parte dei decessi per fame sono causati da malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente. Questo a sua volta è dovuto all’estrema povertà.
4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un’estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari.
5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione, circa 100 volte il numero di persone che effettivamente ne muoiono ogni anno.
6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l’accesso all’acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto.
Personalmente credo che questi dati, anche se privi di emozioni, fanno crescere in ognuno di noi il desiderio di aiutare chi veramente ne ha bisogno come tutte quelle persone che muoiono e che potrebbero essere ancora fra noi se le persone disposte ad aiutarli sarebbero di più!
Nessuno può risolvere il problema individualmente di modo da sentirsi felice ma la felicità dovrebbe venire dal fatto che si ha aiutato persone bisognose!
Ciò che noi, ricchi e viziati, riteniamo “scarto” per loro può significare “vita” e vi invito a riflettere sull’enorme diversità di queste due parole.

Grazie per l’attenzione

grifo90

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LO SFRUTTAMENTO MINORILE

Possiamo considerare lo sfruttamento dei minori su due fronti: quello sessuale e quello del lavoro. Quest’ultimo comincia ad assumere le vesti di un problema drammatico durante la prima rivoluzione industriale e, nonostante le normative che nel XX secolo i paesi industrializzati hanno varato, continua ancora oggi in molte parti del pianeta, particolarmente nelle aree sottosviluppate. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) stima che nel mondo (paesi occidentali inclusi) ci siano più di 250 milioni di bambini che lavorano. Di questi 250 milioni pare che più della metà abbia un’età compresa tra i 5 e i 15 anni e che venga sfruttata (a costi irrisori e a rischio per la vita) in attività pericolose sia per la psiche sia per il fisico. TIPOLOGIE DI LAVORI Dai baby braccianti alle lolite prostitute, dai piccoli artigiani ai fruttuosi minatori, i bambini vengono usati per differenti lavori. Lo sfruttamento dei bambini trova il suo ambiente favorevole nell’economia informale, nel lavoro nero, che in molti Paesi è realtà rilevantissima (nella stessa Italia, potenza economica mondiale). MINI-BRACCIANTI I braccianti sono fra i lavoratori più poveri e meno considerati al mondo. Inevitabile che anche i loro bambini lavorino per sopravvivere. Quanti ragazzi muoiono ogni anno manipolando pesticidi nell’agricoltura commerciale, nelle piantagioni? Non si sa. Come non si sa quanti bambini pregiudicano la propria crescita e salute lavorando duramente come braccianti in situazioni dove è scarso l’apporto di mezzi meccanici e lo sfruttamento di adulti e bambini è elevatissimo. Secondo un recente rapporto dell’Oil, in alcuni Paesi in via di sviluppo quasi un terzo della forza lavoro agricola è composto da bambini. IN MINIERE, CAVE, VETRERIE E FORNACI Si presentano scenari ottocenteschi se ci si affaccia ai bordi di una miniera d’oro peruviana, dove il 20% dei lavoratori ha fra gli 11 e i 18 anni e le condizioni sono durissime; oppure se si accompagna un piccolo carbonaio brasiliano in mezzo alla fuliggine; oppure uno spaccapietre, sovente schiavo per debiti, di dieci anni in una cava indiana, che rischia di diventare cieco per la polvere e il riverbero. O ancora se si osservano le mani da vecchio di un piccolo fabbricante di mattoni a Bogotà, o se si cerca di respirare nei 50 gradi di una vetreria indonesiana dove i bambini lavorano ai forni senza protezione. SCHIAVI PER DEBITI In India, Pakistan, Brasile, Perù, Haiti una famiglia povera che si indebita rischia forte: prende un prestito da un usuraio e si ritrova a lavorare finché non ha ripagato il debito. Ma gli interessi sono troppo alti e la condizione di schiavitù si tramanda di padre in figlio, in agricoltura, nelle cave, nelle fornaci o nelle miniere, sui tappeti, nelle vetrerie o nelle fabbriche di fiammiferi. Il tutto a dispetto dei divieti previsti dalla legge. In Pakistan si stima che siano 8 milioni i bambini in schiavitù, su 20 milioni di adulti. PROSTITUZIONE E’ tristemente noto il fenomeno della prostituzione minorile e dell’uso dei bambini a fini pornografici. Bambine e bambini abbandonati o rapiti dalle proprie famiglie vengono portati nei bordelli o mandati sulla strada. Essi vengono costretti a soddisfare tutte le richieste del cliente e se si rifiutano vengono loro inflitte atroci torture: stupri, bruciature di sigaretta, percosse. 500.000 in Brasile (secondo il Ministero degli Affari sociali), 300.000 in Thailandia, 100.000 nelle Filippine, 300.000 in India, 50.000 in Vietnam, 40.000 in Pakistan. Negli Usa si stima che i babyprostituti siano 100mila. Un fenomeno, quello della prostituzione minorile, che chiama direttamente in causa le responsabilità del mondo occidentale attraverso quei “viaggi del sesso” che dai Paesi ricchi vengono intrapresi da persone a caccia di piaceri a poco prezzo. INVISIBILI SERVI NELLE FAMIGLIE MEDIO-RICCHE Non li vede nessuno ma sono a milioni i piccoli domestici, dai 6 anni in poi, nove su dieci bambine, molto spesso pagati solo con il cibo – poco e diverso da quello dei padroni – e maltrattati. Ad esempio sono 100.000 i “resteaveck” (resta con) under 14 ad Haiti, che le famiglie rurali povere affidano ai cittadini. Le bambine sono esposte anche ad abusi sessuali. Il loro numero è in aumento in Asia, Africa, America Latina, Medio Oriente e in alcune zone dell’Europa. Le loro condizioni sono caratterizzate da lunghi orari di lavoro, paga vicina allo zero, cibo da avanzi, nessuna scolarità. Rimarranno lavoratori marginali per tutta la vita. RACCOLTA RIFIUTI E TRASPORTO PESI Si tratta di due attività accomunate dall’estrema nocività, dall’assoluta marginalità e dal luogo di lavoro: la strada. Ottanta milioni di bambini lavorano per strada, anche se i più hanno una “casa”. Alla periferia di Manila sono in decine di migliaia a scalare la montagna “fumante” (di rifiuti) per selezionare il minimo residuo utile. Lo stesso avviene nelle vie e nelle discariche di tutte le città dei Paesi poveri del mondo. Un lavoro ad estremo rischio sanitario che attira il disprezzo su chi lo svolge. Altri fanno i giornalai, i lavavetri o i lustrascarpe. Particolarmente penosa la condizione degli “asini”: bambini gracili che trasportano esseri umani e merci sul risciò, sfruttati dal proprietario del medesimo. CONCIATI PER LE FESTE Nelle concerie lavora una parte del milione e mezzo di piccoli egiziani fra i 6 e i 14 anni. Le condizioni di lavoro sono le stesse da sempre: ma si sono aggiunti molti prodotti chimici e i bambini continuano a lavorare a mani e piedi nudi. In India, Brasile o nel sudest asiatico lo spettacolo è più o meno lo stesso. ABITI, SETA E SCARPE PER CONSUMATORI LONTANI Sono i prodotti di bassa tecnologia e largo consumo quelli con la cui produzione per l’esportazione paesi come Thailandia, Cina, Indonesia e India stanno tentando la scalata dello sviluppo industriale. Di mezzo ci sono le multinazionali che in genere appaltano il lavoro a ditte locali, le quali a loro volta lo subappaltano a ditte più piccole. In questo “giro” si annida il lavoro dei bambini, difficilissimo da scovare. In Indonesia il lavoro minorile è legalizzato (ma solo per 4 ore al giorno) e le piccole tute blu dell’industria manifatturiera sono almeno 300mila. Per salari bassissimi bambini e bambine lavoratori di 10-12 anni, assunti al posto dei genitori, vivono lontano dalle famiglie, poverissime e rurali. PALLONI E TAPPETI Un milione di bambini tessono tappeti su decine di migliaia di telai sparsi fra il Pakistan, l’India e il Nepal. Antiche ditte di esportazione si rivolgono a intermediari locali che a loro volta girano l’ordine ai proprietari di telai. Questi poi affidano il compito a tessitori che producono con l’aiuto di salariati, spesso bambini: preferiti non solo per via delle piccole dita molto adatte al lavoro, ma anche perché gli adulti non sono disposti a farsi sfruttare proprio fino all’osso. Non di rado i bambini sono “ostaggi”: devono pagare un debito di famiglia. BAMBINI IN DIVISA Più di 300.000 minori sono impegnati in conflitti nel mondo. La maggioranza di questi hanno tra i 15 e 18 anni, ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza è verso un abbassamento della soglia di età. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come portatori di munizioni, vettovaglie etc… Anche le ragazze, sebbene in misura minore sono reclutate e soggette a ogni tipo di violenze sessuali. Il problema è più grave in Africa dove i bambini soldato con meno di 18 anni sono circa 120.000. Una situazione inaccettabile se si pensa che l’esperienza della guerra è per coloro che sopravvivono psicologicamente devastante. FATICARE IN FAMIGLIA Fra tutti i lavori svolti dai bambini, il più comune rimane quello agricolo o domestico all’interno della famiglia: quando la famiglia ha terra o altri mezzi di produzione a disposizione (ad esempio nell’artigianato). Andare a prendere l’acqua, lavorare nei campi, accudire il bestiame al pascolo, curare i bambini più piccoli sono attività quotidiane per moltissimi bambini. Questo genere di attività può avere risultati positivi: i bambini traggono insegnamento da una partecipazione ragionevole ai lavori abituali di casa, alla coltivazione di prodotti necessari alla sussistenza e alle attività che generano reddito. Ma il lavoro in famiglia, pur non rientrando nella tipologia dello sfruttamento, può essere gravoso quando costringe i bambini a lavorare per molte ore, allontanandoli dalla scuola e imponendo un sacrificio troppo pesante al loro corpo. BAMBINI SULLA STRADA Il fenomeno dell’accattonaggio non è più solo una questione dei Paesi poveri, anche nelle nostre città è cresciuto il numero di bambini mandati ad elemosinare ai semafori con addosso pochi stracci. Bambini stranieri preda di organizzazioni criminali, i piccoli schiavi del nostro continente. Passano ore sulla strada e se non riescono a “guadagnare” abbastanza sono problemi.

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Analfabetismo in Italia

L’analfabetismo è uno dei fattori che incide sullo sviluppo economico di una nazione.
In Italia il fenomeno dell’analfabetismo non è del tutto svanito anzi, si da il caso che ancora oggi 20 milinoni di italiani sono analfabeti dei quali, una grande parte vive nelle regioni del Sud e delle Isole mentre nel Nord e nel Centro è difficile trovare persone al di sotto dei 45 anni senza un minimo d’istruzione.
Non bisogna sbagliarsi, però, sul significato di analfabetismo.
Le persone analfabete sono quelle che non hanno avuto la possibilità di frequentare scuole (di solito per motivi economici) o che comunque non hanno avuto un minimo d’istruzione fin dall’infanzia.
Diversi sono gli individui affetti da “analfabetismo di ritorno”, che ritornano all’analfabetismo dopo molti anni di non uso delle capacita di leggere scrivere e far di conto.
La percentuale degli analfabeti è comunque bassa (intorno al 5%) se confrontata a quel terzo di popolazione illetterata che non dispone delle capacità culturali neccessarie a scrivere o interpretare senza difficoltà un testo e a risolvere semplici problemi matematici.

Ma come mai una così grossa parte di popolazione è analfabeta?

Parte della popolazione anziana analfabeta ha “una buona giustificazione”, non fosse altro che ha vissuto la sua pre-adolescenza e adolescenza tra guerre e dopo guerra e un boom economico che, soprattutto nel Nord, a portato alla richiesta di forza lavoro non particolarmente alfabetizzata e competente solo nella specifica utilizzazione operaia. Tra l’altro solo nel 1962 fu introdotta la riforma della scuola che da un diritto allo studio, diventò un obbligo allo studio.
Altro discorso è legato all’attuale analfabetismo giovanile che, pur vivendo in un regime d’obbligo, costituisce una buona parte di massa analfabeta.
Ciò induce un dubbio: non è forse il caso di ripensare e ridisegnare, seriamente, una scuola più vicina alle aspettative dei giovani che li stimoli oggi e nel futuro a costruirsi un buon domani?

Livia

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